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Essandro. Oimè, che mi moro di dolore!

Panurgo. Oimè, che mi moro di dolore!

Morfeo. Oimè, che mi moro di fame!

Essandro. Mi burli? hai torto straziarmi cosí.

Panurgo. Voi volete che v’aiuti a dolervi, io vi aiuto: questa è cosa di poca fatica.

Essandro. Facciamo collegio tra noi della mia vita, e consigliamoci l’un l’altro se dobbiamo fuggircene.

Morfeo. Fuggir io? non mi partirei di questa casa senza mangiar prima, se m’uccideste: sto con tanto desiderio aspettando questa cena che il collo me s’è dilungato un miglio.

Essandro. Dimmi, Panurgo, come potresti rimediare a questo?

Panurgo. Faccisi che quel che è stato, non sia stato; e quel che è per essere, che non sia.

Essandro. Non t’intendo. Rispondi, che faremo?

Panurgo. Qualche cosa faremo.

Essandro. Questo qualche cosa è niente.

Panurgo. Poiché abbiamo cominciato ad ingarbugliar Gerasto, ingarbugliamolo insino al fine.

Essandro. Come l’ingarbugliaremo?

Panurgo. Non dubitar punto, stammi allegro e lascia fare a me che mi sono trovato a magiori garbugli di questi.

Essandro. Fa’ che non sia bugiarda la speranza che ho in te.

Panurgo. Almeno non sera men bugiarda a te che ad altri.

Essandro. Ma dimmi, di grazia, che pensi fare?

Panurgo. Prima diremo cosí... . Ma questo non è piú bono, bisogna pensar un’altra cosa. Faremo cosí... . Né questo va a proposito, perché potremo incorrere in cosa peggiore.

Essandro. Parla presto.

Panurgo. Sto nel pensatoio, e mi occorrono tanti pensieri che per ogniuno ci bisognarebbe un mese a pensare.

Essandro. Son rissoluto vestirmi da maschio, e se non si voglion partir per bravure, ammazzargli. Ho fatto di modo che Gerasto stará tutto oggi chiuso, e non ci potrá impedire.

Panurgo. Questo non è male, ma seria meglio... .