Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/253


atto terzo 243


Panurgo. Troppo tempo ci vuole.

Essandro. Burli in cosa di tanto periglio? M’offendi sul vivo, avendomi il Cielo riserbato a tante miserie.

Panurgo. Non è da saggio ricorrere al morire, quando per altra via si può uscir da affanno. Ditemi, di grazia, che cosa vi tormenta?

Essandro. Il core m’ha pesto tutto il polmone, ...

Panurgo. Come?

Essandro. ... tanto forte è sbattuto per la paura. Le passioni me l’hanno tutto circondato e oppresso. Vorrei morir per uscir da questo intrigo.

Morfeo. Se vuoi morir tu, muori a tua posta, ch’io vo’ sempre vivere per poter sempre bere.

Panurgo. Non puoi dolerti che l’inganno non sia sottilmente trovato, accortamente esseguito e con gran credenza accettato.

Essandro. L’inganno che mostrò cosí buon principio, ha cattivo mezzo e ara pessimo fine. Quella speranza che fiorendo dava presaggio di felicissimi frutti, or è spenta del tutto.

Panurgo. La cagione?

Essandro. È venuto or ora un correo ad avisar Gerasto che Narticoforo e suo figlio se ne vengono a casa.

Morfeo. O ventura maladetta, mira a che ora e a che punto son venuti costoro per disturbare il banchetto! or non poteano venir dopo pranso?

Essandro. Orsú, che mi consigliasti a fare?

Panurgo. Tu perché avevi cosí gran voglia di farlo?

Essandro. Che isconsigliato consiglio fu quello che tu mi desti!

Panurgo. Chi avesse potuto pensare che avessero voluto venir cosí presto?

Essandro. Aiutami, ch’io moro!

Panurgo. A che voleti che vi aiuti, a dolervi?

Essandro. Oimè!

Panurgo. Oimè!

Morfeo. Oimè!