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atto terzo 239

SCENA IV.

Granchio servo, Gerasto, Essandro.

Granchio. Questo è il largo che m’è stato mostrato, questo è il tempio, questa deve esser sua casa.

Gerasto. Giovane, che vai cercando tu?

Granchio. Un che non ho ritrovato ancora.

Gerasto. Parla: chi è costui? forse lo troverai piú presto.

Granchio. Gerasto medico.

Gerasto. Ecco, l’hai trovato, non cercar piú. Tu chi sei? chi ti manda? che sei venuto a fare?

Granchio. Io son Granchio, servo di Narticoforo romano, che mi manda per correo innanzi, ché lo avisi come esso e Cintio suo figliuolo sono in Napoli e or se ne vengono a casa sua. Ecco, t’ho detto chi sono, chi mi manda e che son venuto a fare.

Gerasto. Tu sei un correo che corri molto tardi, ché sono arrivati prima essi che la nuova.

Essandro. (Oh, come è stato troppo veloce per me!).

Granchio. Se avesse avuto cento piedi come un granchio, non arei potuto caminar cosí veloce, come ho fatto, per giunger presto.

Gerasto. Io penso che come granchio arai caminato all’indietro.

Granchio. Se l’ho lasciati nell’osteria or ora, né si muovono se prima non gli porto la risposta! Come può esser questo?

Gerasto. Come non può essere, se è stato?

Granchio. Non vi ho trovato dunque, perché non siete quello che vo cercando. Ma io tanto cercarò che lo trovarò.

Gerasto. Anzi tu non devi esser quello che ha inviato Narticoforo a cercarmi.

Granchio. Voi come vi chiamate?

Gerasto. Gerasto de Guardati.

Granchio. Di Gabbati piú tosto.