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232 la fantesca


Santina. Non m’hai guasto e consumato tutto il correrio che hai avuto dietro la dote?

Gerasto. Quattro stracci fradici.

Santina. Non sono io nobile? non sei tu un povero medicaccio?

Gerasto. Se non fusse stato per me, i tuoi parenti sarebbono morti mille volte di fame.

Santina. Or vo’ cominciare a farti conoscere chi son io.

Gerasto. O misero me, quando questi sassi si rompono di stracchezza, ella adesso vuol cominciare! quando finirá, se adesso comincia? in ogni modo, tu hai da star di sopra.

Santina. Forse non son io la peggior femina trattata del mondo?

Gerasto. Ti batto, forse?

Santina. Guai a te, se avessi tanto ardire!

Gerasto. Di che dunque ti lamenti?

Santina. Mi fai star tutta la notte in un canton del letto, sola; e se per disgrazia ti tocco le gambe, subito: — Fatti in lá, che mi rompi il sonno, mi fai caldo. — Io non sono storpiata né mi puzza il fiato.

Gerasto. Tanti figli che abbiam fatto, dimostrano se ti abbi trattato male.

Santina. Questo fu cosí nel principio.

Gerasto. Or son vecchio, la complession non mi aiuta: vuoi che mi muoia?

Santina. Ci è altro sotto: lasci il tuo terreno incolto per cacciar il vomero nell’altrui terreni; ma s’io me ne accorgo, farò le mie vendette.

Gerasto. Su su, finiamola, ché saresti per durarla tutto oggi. Dove ti eri avviata?

Santina. Io non ho da uscire, vo’ tornarmene a casa.

Gerasto. Entriam, su presto.