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atto secondo | 229 |
Fioretta lavora tanto gagliardo che Cleria gli cede e si dá per vinta.
Santina. Dille che si serrino dentro e ponghino il chiavistello.
Nepita. Ce l’han posto.
Santina. Non ci l’ho inteso entrare.
Nepita. Ci è dentro, vi dico.
Santina. Or esco con animo quieto. Tu sali su. Ben si dice che amor fa diventar gli uomini pazzi; poiché Gerasto mio marito, da che è intrato in questo farnetico d’amore, è uscito di gangheri, che non so come i fanciulli non gli tirino i sassi dietro. ...
Gerasto. (O che amorevol moglie, come ben cuopre i difetti del suo marito! Che deve dir di me, quando ha chi le ne domanda, ché or non sapendo a chi dirlo, lo va dicendo per le strade?).
Santina. ... Va attillato su la vita, profumato. Giunto a casa toglie lo leuto, canta, suona, sospira. La notte non dorme mai; e io per gelosia che non vada a Fioretta, sto sempre desta: mi dá la veglia. Non attende piú alla cura degli ammalati; ha due figlie in casa che gli paiono sorelle, e non prende cura di casarle; e se per altrui diligenza ne abbiamo maritata una, e aspetta lo sposo che d’ora in ora viene a casa, ne prende quella cura come se non venisse nella sua. ...
Gerasto. (Beato me, se nella mia morte avesse un oratore come costei, che onorasse i miei funerali!).
Santina. ... Ben fu infelice quel giorno che lo tolsi! ...
Gerasto. (Ben la tolsi io in mal punto per me!).
Santina. ... Che mi avessi rotto una gamba piú tosto, ...
Gerasto. (Mi avessi rotto il collo io!).
Santina. ...Sventurata me! ...
Gerasto. (Anzi me!).
Santina. ... ché non si trova piú sciagurato uomo!
Gerasto. (Ché non si trova la piú fastidiosa e bizarra diavola di te! E il peggio è che bisogna farle carezze contro mia voglia, per non farla suspetta del fatto. Orsú, bisogna far buon