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atto secondo | 221 |
Morfeo. Giá giá l’hai ritrovato.
Panurgo. ... bugiardo, mentitore.
Morfeo. Lascia dire a me: giotto, traditore, senza legge, senza fede, maldicente, scelerato, ingannatore. Di tutte queste cose ne ho fatto gran tempo professione e mercanzia e ne ho le botteghe e magazzini in questo petto.
Panurgo. Ma essendo tu cosí cattivo, come potrò io fidarmi di te, che non l’attacchi a me ancora?
Morfeo. Di ciò non dubitare, ché corvi con corvi non si cavano gli occhi.
Panurgo. Cosí tu fossi appiccato, come piú tristo uomo di te non si trova nel mondo!
Morfeo. Cosí tu fossi squartato, come lo meriti piú di quanti vivono!
Panurgo. Tu solo hai tanti vizi che, avendonosi a partire a tutta questa cittá, a tutti ne toccarebbe bona parte.
Morfeo. Allégrati, beato te, ché tu sei il priore, il monarca di tristi!
Panurgo. Per le tue grandezze meritaresti una collana.
Morfeo. E tu per le tue virtú una berlina.
Panurgo. Ho voluto dir che meriti esser un re.
Morfeo. E tu un principe di Cartagine.
Panurgo. Con un scettro in mano ben grosso e lungo per governatore e capo di quell’isoletta di legno che sta in mare.
Morfeo. E tu bersaglio di staffili.
Panurgo. Chi ti mirasse nel collo e ne’ piedi, penso che ci troverebbe un callo delle collane e di cerchietti che ci hai portati.
Morfeo. Chi ti vedesse le spalle, le troverebbe di piú colori che i tapeti che vengono di Soria.
Panurgo. O forche, o scale, o capestri, che fate?
Morfeo. O berline, o scope, o asini, dove sète?
Panurgo. Ma torniamo a casa, ché il tempo manca e le parole avanzano. E sovra tutto vorrei che appena accennandogli il principio, capisse il negozio e m’intendesse a cenno.
Morfeo. Anzi io in mirarti in faccia so quello che cerchi da me.
Panurgo. Dici da vero?