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220 la fantesca


Panurgo. ... quei pasticci stieno sempre in caldo, accioché le midolle che vi sono per dentro e di fuori non si gelino e paiano assevati, ma che sieno caldi e ben strutti; ...

Morfeo. (Oimè, che a me si struggono le midolle dentro l’ossa!).

Panurgo. ... che le torte sfoggiate sieno ben cotte e succose, ma non tanto che nuotino nel brodo; ...

Morfeo. (Mi par che questi mi sia uscito dal corpo, tanto sa ben egli ordinare quanto desidero).

Panurgo. ... il vin sia fresco. Date prima il greco, poi la lacrima, poi tramezzate il chiarello e moscatello. E sopra tutto il presto sia in capo alla lista, accioché venendo con quel mio compagno, non abbiamo ad aspettare ma subito porci a tavola.

Morfeo. (Io non posso ascoltar piú: l’anima si ha fatto un fardello delle sue robbe e si vuol partire; lo stomaco s’è ribellato, m’ave occupato la gola e mi strangola. Ma a che tardo ad invitarmi da me stesso?). Oh, ben trovato il mio Panurgo galante, intendente della buccolica piú di tutti gli uomini del mondo!

Panurgo. Ben venghi Morfeo!

Morfeo. Seria da vero ben venuto, se venissi per un terzo a questo tuo cenino che apparecchi.

Panurgo. L’apparecchio per un mio amico di che ho da servirmene in un bisogno importantissimo.

Morfeo. Sèrvite di me, ché ti servirò al servibile e all’inservibile.

Panurgo. Vuoi tu prestarmi mille scudi?

Morfeo. Con che faccia cerchi a me mille scudi, che tutto intiero non vaglio dieci quattrini? Cercar dinari a me è come cercar acqua ad una pomice. Non posso altro prestarti se non la fame che ho adosso. Ma dammi da mangiare, e satollo vendimi ad una galea per quanto vaglio.

Panurgo. Io non ho bisogno di danari, burlo teco. Io ho bisogno di un ladro, infame, giuntatore, assassino, ...

Morfeo. Questi sono i titoli dell’arte mia.

Panurgo. ...tristo, cattivo, malizioso, astuto, truffatore, ...