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atto primo 13

condusse me seco, ch’era un poco grandetto. Accadde che, essendosi imbarcate in Bari per andar a trovarlo, per una fiera tempesta non s’ebbe piú nuova di loro; talché in avisi e in lettere a diversi amici, in diverse parti, s’andar consumando il tempo e le speranze, e fra tanto si tenne suspeso il dolore. Poi venne aviso come la barca era sommersa: e sommerse mio padre in un mar di lacrime e in una amarissima memoria di lor duro caso. Appresso s’ebbe nuova che, da alcune fuste di turchi rapite, erano state condotte in Constantinopoli. Duo anni sono, ebbe nuova di Costanza sua moglie, ch’era schiava di un bassá, che, per esser decrepita, l’avrebbe venduta a buona derata; e che Cleria serviva un sangiacco fuor di Costantinopoli. Pardo mio padre mi sforzò a far questo viaggio, e mi diede trecento scudi per lo riscatto e altri per lo viaggio, con lettere di favore a quei clarissimi in Vineggia, che di lá m’imbarcassi per Constantinopoli. Giunsi a Vineggia, in casa di un napolitano, chiamato Pandolfo, dove sogliono alloggiare tutti i passaggieri napolitani. Venne l’ora della cena, e ci sedemmo a tavola; e una giovane, chiamata Sofia, ci serviva. Ella, nel volgermi gli occhi sopra, mi lanciò una fiamma nel core, che non cessò mai serpir per tutto, fin che non fece ben l’officio suo. Io, sentendomi le vene diseccate dal fuoco, chiedea da bere, e per rinfrescarmi e per godermi di quella divinissima vista piú da presso. Ma facea contrario effetto, perché amor avea mischiato veleno e fuoco in quel vino che mi avvelenava e uccideva in un tempo. Cosí, tra vivo e morto, non sapeva che mangiava o beveva o aveva; ma parea un di quei che si sognano mangiare: che la mia cena fu la sua bellezza. Si levò la mensa, e tutto inebriato di amore, me ne andai a dormire, con speranza di riposare, pensandomi che l’infirmitá dell’animo fossero come quelle del corpo, che col sonno s’acchetassero. Ma il sonno fu peggio che la cena: perché l’infirmitá dell’animo nel giorno s’addormentano per la conversazione degli amici, ma nella quiete della notte si destano le pene e gli amorosi pensieri. Pur, verso l’alba, un leggier sogno m’occupò le luci: neanche quel sogno mi lasciava riposare, perché mi rappresentava