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ATTO II.

SCENA I.

Facio dottor di leggi.

Facio. Un di travagli che abbiamo in questa vita è l’aver a trattar con questi sarti ladri assassini, che dopo averti fatte tutte le tirannie possibili al panno, a’ finimenti e alle fatture, gli piace, per farti il peggio che sanno, di straziarti una settimana in darti le vesti fatte, ancorché potessero farle in una ora. Mi disse iersera che all’alba me l’arebbe recate, e omai è ora di pranso e non lo veggio comparire; e mi fará partir per Salerno molto tardi. Andrò in sua bottega. Chi vuol, vada.

SCENA II.

Essandro, Panurgo.

Essandro. Sí che, di grazia, narrami l’inganno che hai tu pensato per disturbar questo matrimonio.

Panurgo. È tanto a proposito e grazioso che mi muoio delle risa pensandovi.

Essandro. Parla presto, di grazia, che non passi l’ora di trovarmi con Cleria.

Panurgo. Voi mi avete detto ch’eglino non si conoscono di vista.

Essandro. No; ma la loro amicizia è sol per lettere.

Panurgo. Ascoltate, di grazia. Troveremo un uomo vecchio dell’etá di Narticoforo e un altro giovanetto storpiato, o lo sconciaremo noi piú della mala ventura, e li faremo oggi smontar in casa di Gerasto, ché lui, veggendolo cosí brutto, si vergogni darlo per marito a sua figlia e gli dii licenza.