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210 | la fantesca |
Panurgo. Cattivo principio! cada questo augurio sovra chi ci vuol male.
Essandro. È pur caduto sovra di me, ché non è sí misero stato col quale non cambiassi il mio.
Panurgo. Sète forse stato discoverto per maschio?
Essandro. Peggio.
Panurgo. Il vecchio vi ha cacciato di casa?
Essandro. Peggio.
Panurgo. Che cosa vi può accader peggio di questa? Avete confidato in me maggiori secreti, potrete confidar ancor questo.
Essandro. Ho adesso quell’istesso animo, che ho avuto per lo passato, di fidarmi nella tua fede; né mi parrebbe aver compita felicitá, se non ne facesse a te parte.
Panurgo. Dite, che forse ci troveremo rimedio.
Essandro. Gerasto...
Panurgo. Che cosa Gerasto?
Essandro. ... ha pur...
Panurgo. Che cosa ave?
Essandro. ... dato...
Panurgo. Bastonate a voi, forse?
Essandro. Volesselo Iddio!
Panurgo. Che dunque ha dato?
Essandro. ... marito a Cleria mia. Ecco venuto quel giorno che ho temuto e portato tre anni attraversato nel core! ecco la separazione e il fine di nostri amori! Cesseranno i ragionamenti, i baci e la dolcissima conversazione!
Panurgo. Non piangete.
Essandro. La fiamma è cosí ardente nel petto che, se non avessi queste lacrime, abbruggiarebbe il cervello. Ma perché non debbo io piangere? che consolazione arò piú in questa vita? deh, perché non la lascio? perché non m’uccido per disperato?
Panurgo. Padrone, ricordatevi che la disperazione è ruina delle speranze; e il ricorrere che si fa piú tosto alle lacrime che a’ rimedi, è di persona vile e che non vuole che i desidèri si conduchino a fine. Fa’ vela quanto tu vuoi, ché con vento di sospiri mai si condusse nave in porto. Bisogna audacia contro