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206 | la fantesca |
Essandro. ... quanto comandate... .
Cleria. ... E se mio padre non si contenta darmelo per sposo, digli ch’io vo’ fuggirmene seco nella fin del mondo.
Essandro. ... Volete altro?
Cleria. Non altro; raccomandamegli strettamente.
Essandro. Entratevene, che vostro padre non vi vegga.
Cleria. Fa’ di modo che tu mi porti bone novelle.
Essandro. Bene.
Cleria. E se pur non mi trovasse in fenestra, che fischi, ché verrò subito.
Essandro. Me ne vo.
Cleria. Aspetta, aspetta, ascolta questo.
Essandro. Entrate, ché Gerasto vostro padre vien fuora; che non vi vegga.
SCENA III.
Gerasto vecchio, Essandro.
Gerasto. Non è piú infelice vita al mondo di quella d’un vecchio e innamorato; ché se la vecchiezza porta seco tutte le infirmitá e imperfezioni, amor tutte le doglie e passioni — ch’una di queste non bastano diece persone a sostenerle, — or pensate queste due in un sol uomo quanti travagli gli ponno dare. Io amo una che, se ben la fortuna me la fa serva, la sua bellezza me le fa schiavo; e se ben l’ho in casa, n’ho carestia: se l’ho innanzi, non posso mirarla. Son come colui che sta dentro l’acqua e si muor di sete, gli pendono i frutti sovra la testa e si muor di fame; ché l’arrabbiata cagna di mia moglie n’arde di gelosia, non la lascia un sol passo sola per la casa, e se si parte, la lascia serrata a chiave in camera con mia figlia. E se desio di starmi in casa, a mio dispetto m’è forza di starne fuori. Ma eccola qui. Dove si va, Fioretta mia, mio maggio fiorito?
Essandro. Per un servigio della padrona.
Gerasto. Non ti partir, Fioretta mia: lascia che ti miri un poco, se a te non è discaro l’esser mirata; e lasciami sfogar cosí parlando teco, poiché non posso altro. Tu non sei fiore