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atto primo | 11 |
Trinca. Salutatelo.
Attilio. Signor Erotico, buon giorno.
Erotico. (Mi dá il buon giorno chi desia darmi il malanno. Ma sará ben che gli parli; che, se non posso impetrar da lui che la lasci, impetrarò almeno che la lasci per qualche giorno). Idio vi salvi, signor Attilio.
Attilio. Come state?
Erotico. Tal che non posso trovar modo per dolermi del mio dolore.
Attilio. Di che vi dolete?
Erotico. Che non si trova piú fede né amicizia, perché un che mi credea fidel amico, sotto color d’amicizia m’ha tradito e assassinato.
Attilio. Costui sará il piú tristo uomo del mondo.
Erotico. Tal lo stimo io.
Attilio. Ditemi, di grazia, chi sia il traditor di fede e assassino d’amici, ché prometto farne la vendetta per voi.
Erotico. È vostro grande amico.
Attilio. Tanto piú dovete manifestarlomi, accioché possa guardarmi da lui.
Erotico. Fareste ben a farlo, perché è ragionevole e debito vostro.
Attilio. Come si chiama?
Erotico. Attilio. E voi sète quello che mi tradite e assassinate, e mi fate il peggior officio che possa farsi; e avete un gran torto.
Attilio. Avete voi torto maggiore aver una tal stima di me — e io vi compatisco, perché sète fuor di voi stesso — perch’io son lealissimo con gli amici.
Erotico. Ma vi prego per quella cara amicizia, che un tempo fu sí perfetta e incorrotta fra noi, che mi siate cortese di quello ch’è mio, per rigor di giustizia e per debito di amore...
Attilio. Io non intendo il vostro parlare: o ch’io sia troppo goffo o che voi non esprimete bene il vostro concetto.
Erotico. ... che non prendiate Sulpizia per consorte.
Attilio. Deh, caro Erotico, chi ve lo dice?