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atto primo | 199 |
Nepita. Parla presto, non mi far stare piú sospesa, non mi far consumare.
Essandro. Prestami l’orecchia.
Nepita. Eccole tutt’e due, te siano donate.
Essandro. Tu pensi ch’io sia femina, e io son maschio.
Nepita. E può esser questo vero?
Essandro. Come ascolti, e si può toccar la veritá con la mano.
Nepita. Come non m’hai fatto prima toccar con la mano questa veritá?
Essandro. Non son còlto dal fango o dalla vil feccia del populazzo, come tu dici; ch’io son genovese. E se ben devrei tacer la famiglia per non macchiar lo splendor di tanta nobiltá con la mia mattezza, pur vo’ scoprirlati. Son di Fregosi.
Nepita. Perché in questo abito? che util cavi di questa pazzia?
Essandro. Lo saprai, se m’ascolti. Fuggendo di Roma di casa di mio zio Apollione che, per non esser ito alla scuola, promise battermi, me ne venni qui in Napoli dove, appena giunto, Amor mostrandomi Cleria, la tua figliana, al suo primo apparir ricevei con tanta forza le sue divine bellezze nel cuore, che altro contento non arei potuto desiar in questa vita che vedermi sazi pur una volta gli occhi di mirarla. Prima feci ogni sforzo a me stesso per distormi da tal pensiero, ma tutto fu vano; ché il male era tanto impresso nel vivo che ogni rimedio faceva contrario effetto, piú accresceva la doglia e piú inacerbiva le piaghe. Onde per non morirmi di passione, poiché l’esser sbarbato mi porgeva la comoditá, mi vestii da femina e m’introdussi a servir questa casa. ...
Nepita. Chi ti consigliò questo? chi ti diè tanta audacia?
Essandro. Amor mi fu consigliero, Amor mi diè l’ardimento e di sua mano mi pose questo abito adosso, Amor mi fe’ il sensale e mi condusse a servirla.
Nepita. O Dio, che cosa ascolto!
Essandro. ... Entrato che fui dentro, tu ben sai con quanta diligenza abbi servito la casa, e principalmente la mia divina