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198 | la fantesca |
Essandro. Mi par, no; lo tengo per certo, sí.
Nepita. Dunque hai per certo che sia vecchia?
Essandro. Tu stessa il dici.
Nepita. Menti per la gola: odoro piú io morta che tu non puzzi viva, e a tuo dispetto son piú aggraziata di te.
Essandro. Io non son bella né mi curo d’esserci, e mi contento come mi fece Iddio.
Nepita. Se tu ti contentassi come ti fece Dio, non consumaresti tutto il giorno ad incalcinarti la faccia e a dipingerlati di magra, e col vetro o col fil torto trarti i peli del mustaccio. Or puossi dir peggio che femina barbuta? Poi hai una voce rauca, che par ch’abbi gridato alle cornacchie. Sfacciata che sei!
Essandro. Questa arte m’hai tu forzata a farla, e non devresti ingiuriarmi di cosa di che tu sei stata cagione.
Nepita. Mira con quanta superbia mi favella e mi viene con le dita sugli occhi ancora! Pensi che sia alcuna ricolta dal fango e non si sappi donde mi sia, come tu sei?
Essandro. Nepita, tu hai altro con me e mi vai cosí aggirando il capo.
Nepita. Poiché siam venute su questo, vo’ che il dica: se non, che ci daremo infino a tanto delle pugna che ne sputiamo i denti.
Essandro. Ti duoli di me che t’abbi tolto il padron vecchio Gerasto, che prima era tuo innamorato.
Nepita. Oh, lo dicesti pure!
Essandro. Ma se tu sapessi la cosa come va, non mi porteresti tanto odio, non aresti gelosia di me e m’amaresti come amo io te.
Nepita. Io non ho gelosia di fatti tuoi. Ma se questo fusse... .
Essandro. Se prometti tenermi secreta e aiutarmi, oh quanto seria meglio per te!
Nepita. Che mi vuoi far vedere, che sei vergine?
Essandro. Ti scoprirò cosa che non pensasti mai.
Nepita. Piglia da me ogni sicurezza che vuoi.
Essandro. Ma avèrti che son cose d’importanza, non da pugne ma da pugnali, e importa l’onor di tua figliana.