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ATTO I.

SCENA I.

Nepita, Essandro sotto nome e abito di Fioretta fantesca.

Nepita. Non può esser mai pace in una famiglia, quando vi capita qualche fantesca di cattiva condizione. Da che ha posto piede in casa questa maladetta Fioretta, non ci è stata piú ora di bene. È stata mezana tra Cleria mia figliana e uno Essandro suo parente, che l’ha ridotta a divenir pazza e a menar vita da disperata; s’è attaccata a far l’amor col padron vecchio, e ha posto tanta gelosia tra lui e la moglie che stiamo tutti in scompiglio; l’ha tolto a me, che pur qualche voltarella mi recreava, di che mi scoppia il cuor di gelosia. Ma dove mi sei sparita dagli occhi, mona Fioretta? Mi vai tutto il giorno passeggiando con i guanti alle mani come una gentildonna: cosí si serve? cosí si mangia il pan d’altri, eh?

Essandro. Nepita, come tu sei stracca di travagliar te stessa, attendi a travagliar gli altri: giocherei che non sai quel che vogli o non vogli.

Nepita. Voglio che ti scalzi i guanti, vadi a lavar le scudelle, a nettar le pignate, a vôtar i destri e a far gli altri servigi di casa, intendi?

Essandro. Cleria padrona mi ha invitata per i suoi servigi.

Nepita. Son scuse tue. T’arai data la posta con qualche famigliaccio da stalla e or lo vai a trovar cosí mattino.

Essandro. Misuri gli altri con la tua misura. Questa arte dovevi far tu, quando eri giovane.

Nepita. E ti par dunque ch’or sia vecchia?