Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/198

188 la carbonaria


Melitea. Siami lecito abbracciarvi con quella riverenza come mio padre: o mio caro e amato balio!

Isoco. O amata e desiata figliuola!

Melitea. O Dio, quanto presto sète fatto vecchio.

Isoco. Il tempo camina, figlia: tenetelo voi, che stia fermo, e io terrò una medesima forma. Figlia, poiché hai conosciuto il tuo balio, riconosci ora il tuo vero padre.

Dottore. Carissima figliuola, non ti ricorderesti del tuo vero nome?

Melitea. Nascendo fui rapita dalla balia; poi, con piú malvaggia fortuna, fui rapita da’ corsari, i quali mi fecero questo oltraggio che, rubbando me, mi rubbaro il mio vero nome, il quale è Alcesia.

Dottore. Dimmi, figliuola cara, non hai alcuna di quelle coselline d’oro serbate teco, che ti diè Galasia mia moglie?

Melitea. Signor mio, non ho altro che questo anello con una fede scolpita, che l’ho sempre custodito con grandissima diligenza — se pur Iddio mi avesse fatto grazia di riconoscere mio padre, — e questi bracciali.

Pirino. Moglie mia cara, perché mai prima mostrati non me l’avete?

Melitea. Sposo mio, i segni sono segni a coloro che li conoscono. Ma appresso quelli che non sanno che cosa sia, mi potrebbono piú tosto esser cagione di cattiva fama, dubitando che l’abbi per alcun ladroneccio o che alcuno innamorato me l’abbi donati.

Dottore. Pazzia sarebbe dubbitar piú che non sia mia figlia, e giá m’accorgo che allo splendor degli occhi e dalla eccellenza della bellezza, che rassomiglia a quella, quando era bambina: tu sei dessa, e il tuo aspetto è bastevole a farti conoscere che tu sei nobile.

Melitea. Gentiluomo, ecco alcuno altro segnale per lo quale possiate rendervi piú certo che sia vostra figlia.

Dottore. Figlia, giá son certificato da tutti e son vinto da tutti i segni, e finalmente mi chiamo vinto dalla di tutte cose vincitrice natura, per tirarmi nel core una insopportabile alle-