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186 | la carbonaria |
Dottore. Filigenio, io conosco che i matrimoni prima si dispongono in Cielo e poi s’esseguiscono in terra, e che invano tenta umana forza impedir quello che è ordinato lá su. A me par che sieno cosí ben accoppiati fra loro, che né io né lui né tutto il mondo l’aría potuto imaginare; e mi par ch’egli sia degno di lei, ella di lui. Io non ho altro figlio, e la mia robba è di valor di quarantamila scudi; sono nell’ultimo della mia etá e inabile alla sperata successione. Fate voi la dote al vostro figlio. Né voi potrete restarvi di apparentar meco; perché non so come meglio si possa rimediare all’acerbitá dell’ingiuria che m’ha fatto vostro figlio.
Filigenio. A cosí buon partito che mi proponete, ogni cosa ch’io rispondessi in contrario, mostrerei che fussi scemo di cervello; ed è ben ragione che avendo io comprato la moglie al mio figlio, che voi con buona dote ricompriate il mio figlio per vostra figlia: e come per l’acquisto di lei è intricato con augurio di scherno, cosí vo’ che, mentre sia vivo, l’abbia ad esser non sposo ma schiavo di vostra figlia.
Dottore. E mia figlia, perché sotto auspicio di schiava fu introdotta in vostra casa, non che nuora, ma sia perpetua vostra schiava e di vostro figliuolo: e dove si ha pensato uccellar me, ará posto l’uccello in la sua gabbia.
Filigenio. Orsú, trovinsi costoro, e questa sera medesima facciamo le nozze con reciproca sodisfazione. Forca, perché son chiari che l’uno è dell’altro e non han piú dubio che sieno separati fra loro, falli tornar da viaggio e menali a casa nostra.
Forca. Vi do la mia parola giongerli nel viaggio e far ch’or ora li veggiate qui presenti.
Dottore. Per l’amor di Dio, presto: ché non so se potrò viver tanto che li veggia.
Filigenio. Io me ne vo a casa, a porla in ordine per questa sera.