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atto quinto | 183 |
SCENA IV.
Filigenio, Dottore, Isoco.
Filigenio. Veggio venir il dottor verso me: qualche altra burla aranno scoverta di Forca: non sará per finir tutto oggi.
Dottore. Filigenio, io vengo a ragionar di cose assai differenti dalle passate, alle quali mai non pensaste: ora non è tempo di amori, ma di compimenti di onore; e ben sapete che dove va l’onore, poco si prezza la robba e la vita insieme.
Filigenio. Evi alcuna altra terza di cambio di farmi pagare?
Dottore. Ritenetevi ne’ termini della prudenza e della creanza, e ascoltate prima, che non sapendo che abbiamo a narrare, potreste prender error per parlar troppo.
Filigenio. Evi alcuna altra cosa scoverta di mio figlio?
Dottore. Io vengo or per coprir gli errori di vostro figlio e non scoprirgli al mondo piú che sono. Sappiate che Melitea rapita da vostro figliuolo, or non è corteggiana, come stimavate, ma gentildonna libera e onorata.
Filigenio. Come può esser questo, essendo stata tanto tempo in casa di un ruffiano?
Dottore. Di cosí picciola cosa vi meravigliate? vi sono ancora delle cose maggiori. Vi dico in somma che è mia figliuola; che mi fu rapita dalla balia, sendo piccina; e or l’abbiamo riconosciuto, come poi piú minutamente restarete sodisfatto.
Filigenio. Mi rallegro della vostra ventura. Ma che cercate da me?
Dottore. Se ben non ho riconosciuta mia figlia, né so fin ora dove sia, so ben che Forca e vostro figlio l’hanno sbalzata dalla casa di Mangone. Voi sapete che ho tanta robba che posso giovar agli amici e castigar gli inimici; e chi mi toglie lei, mi toglie l’onor mio: e l’onor pone l’uomo in disperazione, e il disperato di se stesso non può aver pietá di alcuno. Son uomo da far che i suoi amori gli costino molto cari, e a voi, a Forca e a tutti i complici; e sará piú duro il vero male che