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180 la carbonaria

SCENA III.

Dottore, Mangone, Isoco.

Dottore. Mangone, hai saputa alcuna novella di Melitea?

Mangone. Sí bene, anzi di cose che voi non sapete.

Dottore. È dunque in poter di Pirino?

Mangone. Dico altro che voi pensate.

Dottore. Che cosa dunque?

Mangone. Melitea è libera e gentildonna.

Dottore. Che non sia qualche nuovo inganno ordito da Forca, per schernir me dello amore e del desiderio di aver figliuoli?

Mangone. L’uomo che qui vedete, dice ch’è napolitana, figlia di uomo nobile e di gran qualitade.

Dottore. Certo che m’è carissimo, ch’essendo di buon legnaggio e avendola per moglie, arò meno reprensori; e se per rispetto del mondo faceva prima resistenza alle mie voglie, or le farò correre a tutto freno. Gentiluomo, vi prego a narrarmi quanto sapete di lei.

Isoco. Dico che questa giovane fu rapita dalla sua balia e portata in Raguggia sua patria. La cagion della rapina fu che, nascendo la bambina, morí sua madre nel parto; e restando la balia col padre in casa, o che si fusse innamorato di lei o che fusse intemperante di sua propria natura, la ricercò piú volte dell’onor suo. Ed avendogli ella piú volte detto che nel fatto dell’onor non volea esser molestata in conto veruno, ché altrimente si partirebbe, ed egli non restando di noiarla, non s’arrestò di quanto l’avea minacciato: onde, per fuggir gli disonesti assalti del padrone, se ne fuggí di casa sua e se ne venne con la bambina in Raguggia, dove dimorò tre anni. Abitando in un suo podere alla costiera della marina, un vassello de scocchi la rubbò e la vendé qui in Napoli ad uno mercatante di schiave, che si chiama Mangone.

Dottore. Come si chiamava la balia?

Isoco. Galasia.