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atto quinto 177


Mangone. Oh, seria bella certo, ch’essendo tu solo e forassero, senza aver alcuno per te, volessi vincer me che ho parenti e amici nella mia terra.

Raguseo. Dimmi, ch’è l’arte tua?

Mangone. Comprare schiavi e schiave belle e venderle poi a’ giovani che se n’innamorano.

Raguseo. Come se dicessi ruffiano.

Mangone. Come se tu lo dicessi e io ci fussi. Non mi vergogno dell’arte mia; ma qual arte è la tua?

Raguseo. Di corseggiar mari e lidi de’ nemici e andar facendo prede.

Mangone. Come si dicessi un spogliamari, saccheggialidi, cacciator d’uomini; come si dicessi un ladro publico.

Raguseo. Piacesse a Dio che il mar ben spesso non spogliasse e rubasse me!

Mangone. Or tu che osi rubar i lidi e i mari e gli stessi ladri, hai osato rubar ancor a me.

Raguseo. O ruffiano, lassemi stare.

Mangone. O ladro de’ ladri publichi, tornami quel che m’hai rubato.

Raguseo. Un corsaro si chiama soldato e non ladro.

Mangone. Tu sei un di quei soldati che non dái batterie se non alle case private e alle porte delle botteghe.

Raguseo. O fussi incontrato piú tosto con la nave in un scoglio che in costui!

Mangone. O fussi venuto piú tosto in Napoli un diavolo che tu! Ma qui arai condegno castigo delle tue opere, che vendi i cristiani per turchi e per mori.

Raguseo. E tu fai peggio.

Mangone. Qui ti saranno scontati i tuoi ladronecci.

Raguseo. E a te le tue poltronerie.

Mangone. E come un publico ladro morirai nell’aria publica.

Raguseo. E tu per il tuo mestiero nel foco.

Mangone. E tu che vai pescando gli uomini per lo mare, sarai pescato dal mare.

Raguseo. E tu lapidato da’ giovani che rovini.