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atto quarto | 173 |
Dottore. Che re di Borno, che decapitare? io non so se tu stai ne’ tuoi sensi. Io pensava riscattar la mia innamorata Melitea; poi, avendola condotta a casa e lavatagli la faccia, ho ritrovato un maschio e altro di quel che pensava: eccolo qui.
Filigenio. Chi è dunque?
Dottore. Tanto ne so io quanto tu.
Filigenio. O Dio, che girandole son queste? che vuoi tu dunque da me?
Dottore. Che ti togli il tuo schiavo e mi torni i miei cento scudi.
Filigenio. Che so io se lo schiavo che m’hai tolto di casa sia quel che mi rimeni?
Dottore. Che so io che Melitea che fu portata in casa vostra non sia stata scambiata e posto costui in suo luogo?
Filigenio. Eccomi diversamente incappato in una lunga rete di artifici: e quanto piú cerco svilupparmene, piú mi ci trovo dentro, senza trametter tempo di mutar consiglio. Se tu non stavi sicuro che fusse quella che desiavi, a che venire a chiederlami con tanta voglia?
Dottore. E se non stavi securo che fusse l’innamorata di tuo figlio, perché subito non consignarlami?
Filigenio. Io dubito che con l’arte non vogliate schernir l’arte. Ma vien qua: chi sei tu che ti hai lasciato vendere? perché non rispondi? di’, parla. Sta saldo, come se a lui non dicessi.
Panfago. Non vedi che con le mani fa ufficio della lingua, e con tacito parlar dice che non sa nulla?
Dottore. Non so che voglia dir, io. Panfago, dove vai?
Panfago. Questo è quel pazzo di poco anzi, nol conoscete?
Dottore. Certo che mi par quello: ride, salta e cava fuor la lingua.
Panfago. Scampa, dottore, ché non ti còglia un’altra volta.
Filigenio. Vien qui. Dimmi: chi sei tu? parlavi poco anzi come un filosofo; come hai or cosí perduta la lingua? Se non rispondi, ti rompo la testa. Oimè, oimè; aiuto, aiuto, ché costui non m’ammazzi! Chi mi ha portato costui dinanzi? a me con beffe? sarò uomo da vendicarmene.