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170 la carbonaria

tiluomo, né vi diedi cagion mai di dolervi di me, ma servirvi di quanto ho potuto.

Alessandro. Confesso aver ricevuto da voi molti favori, e confesso parimente non averli riserviti non per mancamento d’animo, ma d’occasione.

Filigenio. Voi me l’avete resi con iniquo cambio che non sarebbe stato fatto ad un turco; ma dice bene il proverbio: che molti benefici fanno un uomo ingrato.

Alessandro. Orsú, perché avete sfogata l’ira con ingiuriarmi, sarebbe di ragione, se non prima, mi dicesti la cagione di che vi dolete di me; perché le vostre parole mi sono ferite mortali che mi trapassano il core. Non mi fate piú penare.

Filigenio. Guarda simulazione.

Alessandro. In che v’ho offeso, accusandomi tanto d’ingratitudine?

Filigenio. Anzi di sfacciataggine e di furfantaria.

Alessandro. Ah, dir cosí sfacciatamente mal degli uomini è ufficio di tirannica lingua! però, di grazia, ponete freno alla lingua nell’ingiuriarmi, accioché non la scioglia allo sdegno per difendermi.

Filigenio. Perché, con iscusa di farmi comprar un schiavo per un vostro amico, me avete fatto comprar l’amica del mio figliuolo e fattalami condurre a casa?

Alessandro. Mi fo la croce; overo ciò dite per schernirmi, o forse vi movete da alcuna falsa informazione.

Forca. Vedrete, padrone, che tutto sará falsitá quanto vi è stato detto.

Filigenio. Ed in cose di niente farmi ruffiano di mio figlio?

Alessandro. Ditemi se di giá avete comprato lo schiavo e dove sia.

Filigenio. L’avea comprato giá e ridotto a casa; poi, venuto il dottore, mi disse ch’era la bagascia di mio figlio, tinta la faccia di carboni, vestita da maschio; l’ho cacciata di casa e lasciatala a lui.

Alessandro. O Dio, che cosa mi dite? O fortuna traditora, a che son condotto! io son il piú disperato uomo del mondo!