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atto quarto | 167 |
Forca. Io non posso trovar cosí belle parole per ringraziarvi di cosí illustri titoli che mi date.
Filigenio. Io non so che dir piú, né posso dir tanto che non sia mille volte piú di quel che dico.
Forca. A chi fo male io?
Filigenio. Agli amici, agli inimici, a quanti puoi.
Forca. Nessuno stima questo di me.
Filigenio. Perché tutti lo tengono per fermo.
Forca. Quei che sono cattivi, stimano che tutti gli altri sieno cattivi.
Filigenio. Dunque, io son un tristo che stimo te il piú tristo uomo del mondo?
Forca. Non dico questo io, né è convenevole a un servo dirlo: ma guardatevi che non lo dica altri a cui piú conviene. (A tuo dispetto ti sommergerò in un mar di bugie, e se scamperai da un scoglio, romperai in un altro). Padrone, voi mi avete per un tristo, perché son troppo buono: ché a tempi d’oggi per esser stimato buono dal tuo padrone, bisogna rubbarlo, assassinarlo a tutto suo potere. Ma perché mi stimate cosí tristo, che effetto cattivo avete di me veduto?
Filigenio. Puoi negar tu che non sia il maggior ribaldo del mondo?
Forca. A me non convien negarlo né affermarlo: ché negandolo farei voi bugiardo, e affermandolo direi bugia. Ma io nacqui al mondo sotto cattivo pianeta, assai disgraziato. Ma se voi deposta la còlera e l’ira, volete intendere il vero, il dico liberamente: e vo’ che siate il mio giudice, poi ch’io purgherò le mie calunnie, e m’averete per un uomo da bene.
Filigenio. Vien qua, rispondimi a quanto ti domando.
Forca. Eccomi.
Filigenio. Non hai tu tinto la faccia di carboni a mio figlio e vendutolo al ruffiano? poi tinta la faccia di carboni alla puttana, e l’hai fatta comprar da me, facendomi pregar da Alessandro?
Forca. Giesú! vostro figlio va libero per la cittá con la faccia bianca per testimonio della veritá e di colui che vi ha