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atto quarto 157


Dottore. Oimè, che mi stringe; aiutami, Panfago!

Panfago. Oimè, dottor, aiutami, che m’ha posto le mani alla gola e mi stringe cosí forte che mi strangola, che non potrò inghiottir mai piú intieri i ravioli!

Dottore. Di nuovo è tornato a me. Panfago, dove fuggi?

Panfago. Per trovar armi e amici.

Dottore. Fermati, pazzo indemoniato, dove mi strascini?

Mangone. Tieni, para, Panfago, ché non ne scappi.

Panfago. Non vo’ impacciarmi con pazzi, io.

Mangone. Tieni, tieni!

Panfago. Lasciatelo andar in malora, che si rompa il collo!

Filace. Ecco il bastone.

Mangone. Vieni con l’armi dopo la rotta! Io vo’ andare a trovare il raguseo, chiarirmi del tutto e ricuperar il mio; tu resta guardiano della casa.

Dottore. La dovevi far guardar prima: ti porrai la celata dopo rotta la testa!

Filace. Cosí farò.

SCENA V.

Dottore, Panfago, Forca, Pirino.

Dottore. Panfago, non star piú nascosto: il pazzo è gito via.

Panfago. O a che periglio mi son oggi trovato d’esser strangolato e non poter piú mangiare! Or non poteva attaccarmisi piú tosto con i denti al naso, strapparmi l’orecchie o ficcarmi i diti negli occhi? Parve che il diavolo proprio gli drizzasse le mani alla gola per farmi dar in preda della disperazione, e che mi appicassi con le mie mani o fusse precipizio di me stesso.

Dottore. Una tempesta di pensieri non mi lascia riposare: ardo d’un doppio fuoco d’amore e d’ira: l’uno mi spinge a tor vendetta di costoro, l’altro m’incende d’amore; vorrei sfogar l’ira, ma l’amor mi tien ligato; l’ira m’inferma e il desiderio m’accende; e sí grande è l’una e l’altro, che la bilancia sta dubbia dove debba calare. Panfago, se non mi aiuti non posso riposare.