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156 la carbonaria


Dottore. Mangone, da costui si potrá sapere il fondamento del fatto.

Mangone. Vien qui, traditore; onde hai tolte le vesti, ove è colei a cui le togliesti?

Dottore. Mira come sta saldo, come se non dicesse a lui! non si degna respondere. Dimmi, dove è quella donna padrona delle vesti che tieni adosso?

Mangone. Il manigoldo finge non intender; che parliamo noi arabo o greco? Dimmi, come sei qui?

Dottore. Finge il sordo: noi parliamo ed ei mira altrove.

Mangone. Mira che ride. Fa del fastoso e alieno; or si fa beffe di noi e cava fuori la lingua.

Dottore. Balla, salta e fa atto da pazzo.

Mangone. Filace, tienlo che non ti scappi, ché ne scapperebbe la speranza di non averne a sapere mai piú il fatto come è passato.

Dottore. Finge il muto e il sordo.

Mangone. Dubito che da dovero non sia sordo e muto.

Dottore. Parlagli con i cenni e con le mani, se forse t’intende.

Mangone. Appunto. Bisogna parlargli con le mani da dovero.

Dottore. Zappiamo nell’acqua.

Mangone. Non v’accorgete della industria di Forca? S’ha servito per stromento di questa trappola d’un sordo, muto e pazzo, accioché, essendo qui ritrovato e dimandato dalla giustizia, ei non possa dar indicio di alcuna cosa.

Dottore. Chi ha fatto la pentola, ha saputo ancor far la manica. Non v’accorgete che è matto e pazzo?

Mangone. Filace, recami qui un bastone, che quel solo ha virtú di far intendere a sordi e parlare a muti.

Dottore. Mentre egli viene, io vo’ far prova se nelle pugna e ne’ calci fusse la medesima virtú. Vòlgeti qua, se non mi racconti il fatto come sia gito, arai per ora un saggio di pugna. Non vuoi rispondere? toccherai delle busse.

Mangone. Giá ti è stato detto due volte; alla terza viene il buono. Dimmi, in tua malora, chi t’ha posto in dosso queste vesti? Ragiona, se vuoi. Io... oimè, oimè, mi uccide; aiutami, aiutami, dottore!