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atto quarto | 155 |
Mangone. Ponnosi veder le piú belle provature, formaggi, bottarghe e barilotti di malvagia?
Panfago. Diteli che le provi un poco.
Dottore. Di grazia, provatene alcune.
Mangone. Odorerò il vino. O gaglioffo traditore! il barilotto è pieno di piscio, le bottarghe sono di mattoni, il formaggio di pietra e le provature vessiche piene di sporchezza! O Dio, non gli bastava l’ingiuria, se non giongeva ingiurie ad ingiurie!
Dottore. Con tutt’i mei guai pur mi vengon le risa. Fa’ cercar meglio per la casa se forse Melitea si fusse nascosta.
Mangone. Camina su, bestiaccia; non lasciar luogo da cercare. Ma che dispiacer feci mai a quel raguseo, ché mi avessi a trattar cosí male?
Dottore. Deve essere amico di Pirino e di Forca, e per far piacere a loro è stato ministro del tuo danno.
Mangone. Or che mi ricordo, avea una ciera di furfantaccio, d’un malandrino, d’un ladrone, e rassomigliava tutto a costui.
Panfago. Menti per la gola, ch’io non ho ciera di malandrino.
Mangone. Possa morir di mala morte, se tutto non rassomigliava a te!
Panfago. Mio padre fu raguseo, e in Raguggia ho un fratello che tutto rassomiglia a me. Io non ce ho colpa né in fatti né in parole.
Mangone. O Dio, che mi giova di essere uomo da bene, se la disgrazia mi persegue e altri invidiano il mio guadagno? Se vi dovesse spendere tutta la mia robba, io il porrò in mano del boia.
SCENA IV.
Filace, Dottore, Mangone, Panfago, Muto.
Filace. Padrone, ho ritrovato costui nascosto con le vesti di Melitea.
Mangone. Ecco qui il ladro, ecco qui l’assassino, che ancor tiene adosso le vesti di Melitea.