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150 la carbonaria


Panfago. O mal d’affogaggine! Oimè, che la fame m’asciuga lo stomaco e la sete mi disecca le vene; ma possa io morir di mala morte, se non me ne farò vendetta e bona! Traditori assassini, che dispetto vi feci mai, che meritasse tanto scherno? farmi star tutto il giorno su le speranze, digiuno? Mi avete promesso per non attendere e m’avete onorato per beffarmi; ma farò che la beffe torni sopra voi, il cibo che avete divorato senza me farò che mal pro vi facci: ché non mi terranno tutte le catene del mondo, che non vada ora al dottore e non gli riveli tutte le furbarie che gli avete fatte. Avete rotto la fede a me, la romperò io a voi: li riempirò l’animo di gelosia, l’aspreggiarò tanto che da questa beffe ne germoglino danni, rumori e morti e quanto piú se può peggio. Un par mio digiuno a quest’ora, eh?

SCENA II.

Dottore, Panfago.

Dottore. Panfago, dove vai?

Panfago. Se non vi rovino tutti, ...

Dottore. Che cosa hai?

Panfago. ... cadano i cieli, se abissi la terra...

Dottore. Di chi ti rammarichi?

Panfago. ... e si sconquassi il mondo!

Dottore. Panfago, tu smanii; certo tu devi arrabbiar della fame.

Panfago. Oh sète qui, dottore! la rabbia m’avea offuscata la vista d’un torto che vi è stato fatto: e se l’avessi potuto vendicar io senza la vostra saputa, l’arrei fatto assai volentieri; ma non potendo, vengo sforzato a dirvelo: è cosa che proprio non la posso digerire.

Dottore. Io dubito che tu abbi digesto d’avanzo, e che essendoti stato promesso da desinare e venutoti meno, tu ti muoia della fame.

Panfago. Ma vorrei che stimassi che le parole mie nascano da vero amore e da zelo del vostro onore, non da qualche mio interesse.