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142 | la carbonaria |
Mangone o suspetto di vita o di qual si voglia strano accidente me lo farebbono lasciar mai; accioché, bisognando morire, morissi nelle sue braccia, e gli consegnerei il suo deposito.
Pirino. Farò che or ora voi lo vedrete.
Melitea. O Dio, che intendo! Ma tu hai fatto un motivo con la bocca, che cosí soleva far egli; e hai parlato con tanta dolcezza e affettuose parole, che par che hai di quel genio che a lui solo fu donato dal Cielo per tiranneggiare e tirare a sé con dolce amorevolezza tutte le persone.
Filace. Su su, finiamola, ché Mangone viene: ché tanti ragionamenti?
Pirino. Se mi promettete non alterarvi di modo che possiate dar sospetto al guardiano, ve lo mostrerò sano e vivo.
Melitea. Non so se potrò far tanta forza a me stessa.
Filace. Parmi che colui che passa colá, sia Pirino. Entrate, entrate; presto, presto, che non vi vegga. Ma non è desso, restate.
Pirino. Bisogna farla, ché scoprendovi sareste rovinata voi e il vostro Pirino.
Melitea. Cosí prometto.
Pirino. Io sono il vostro Pirino!
Melitea. O somma di tutte le mie speranze, io son tutta divenuta di foco, il sangue mi bolle per tutte le vene, e mi riconosco incapace di tanta gioia. O Dio, dammi tanta fortezza che possa nasconder cosí smisurato contento!
Pirino. Ecco ch’è pur vero che m’ho fatto vender per ischiavo per far libera voi.
Melitea. Ma che son io che merito esser riscattata con sí gran prezzo? Ma questo non per mio merito, ma per vostra gentilezza, ché avete riguardo alla vostra propria natura non al mio poco valore. Ma come io potrò riservirvi tanta cortesia, essendo ella infinita e io cosa finita?
Pirino. Io non posso dirvi qui la trappola che abbiamo consertata, ché darei sospetto di voi al guardiano. In camera vi dirò il tutto.
Filace. Melitea, tu entra dentro.
Melitea. Or ora.