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atto terzo 135


Panfago. Che hai, che tremi?

Pirino. Sempre quello che piú si desidera piú si teme. Tremo non so se di paura o di allegrezza: il pericolo dove mi trovo mi spaventa, l’allegrezza dell’acquisto mi rallegra, il timor turba l’allegrezza; talché provo in uno istesso tempo una timida allegrezza e un allegro timore. Ma ricòrdati, partito di qua, sollecitar Alessandro, ché solleciti mio padre a tor Melitea; e ricòrdati tornar presto con il presente.

Panfago. E tu come sarai a casa, ricòrdati di far apparecchiar presto da desinare.

Pirino. Ma camina presto, che non veggio l’ora di veder Melitea.

Panfago. Anzi bisogna caminar con gravitá, col passo della picca: non sai che son ricco e mercadante?

Pirino. Te ne prego e straprego.

Panfago. Or sí che dici bene, perché lo schiavo deve pregar il padrone.

Pirino. Ecco la casa.

SCENA II.

Mangone, Panfago, Pirino, Filace.

Mangone. (Veggio un mercadante da nave, che mi dimanda: certo costui sará quel raguseo che ha portato schiavi a vendere e ne porta un seco per mostra). Chi dimandate?

Panfago. Sète voi Mangone?

Mangone. Io son mentre Iddio vòle.

Panfago. Voi siate il ben trovato per mille volte, padron caro; perdonatemi se, non conoscendovi, primo non vi ho salutato.

Mangone. Non accadono simili cerimonie tra mercatanti: eccomi se son buono a servirvi.

Panfago. Io son il fattor del raguseo, padron della nave che ora è gionta in Napoli, carica di schiavi; vi prega che vegnate domani o questa sera a vedergli: e ve ne porto uno per mostra.