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atto primo 115


Filigenio. Cosí mi par di ragione.

Forca. Quanto avete detto, tutto è vero: che sta innamorato di una cortegiana, detta Melitea, che sta in poter di un ruffiano che l’ha venduta ad un dottore per cinquecento ducati; e però ne arrabbia di dolore.

Filigenio. Dove pensa avergli?

Forca. Rubbargli a voi come meglio potrá.

Pirino. (Ecco che fa l’affratellarsi con i servidori: pensava aver un servo fidele e ho una spia secreta di mio padre).

Filigenio. Come volete rubbarmi, se sto in cervello e mi guardo piú di voi che di tutti i ladri del mondo?

Forca. È deliberato scassar lo scrittorio, se non lo può aprir col grimaldello.

Pirino. (Merito questo e peggio. Or non sapevo io che i maggiori inimici che abbiamo sono i servidori?).

Filigenio. Ma come mi accorgeva del fatto, come andava il fatto per voi?

Forca. V’attossicavamo.

Pirino. (O Dio, che ascolto? non posso contenermi, mi risolvo lasciar il rispetto da parte, passargli questa spada per i fianchi, e accadane quel che si voglia).

Filigenio. Al suo padre questo? ahi, figli iniqui! or non dovea cosí scelerato pensiero indurgli terrore?

Forca. Ma tutto ciò è nulla: ci è di peggio assai.

Filigenio. Che ci può esser peggio?

Forca. Quel dottore è un cervello bizaro, straordinario, ha molti bravi che lo seguono, per un pelo se la torrebbe col diavolo; ne sta geloso e ha deliberato farlo ammazzare e li tiene le spie sovra.

Pirino. (Non gli basta quanto ha detto: ci vuol aggionger del suo ancora).

Filigenio. Se ben per i continui inganni che m’ave usato costui, non gli devo prestar fede, pur la vita di un figlio importa molto. Forca, tu che conosci costoro e sai questi maneggi, ricorro a te, mi pongo nelle tue mani; vorrei che rimediassi, che non si procedesse piú oltre.