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atto primo 107


Mangone. Come quello uccello che porta il grano al molino.

Dottore. ... «e che non ha tanti peli in testa, quante lingue che gridano:» forche e capestri; però prego Iddio, ché tosto gli succeda.

Mangone. Non bisogna pregarne Iddio, ché a questo fine ce lo condurranno le sue buone opre: ha mal vissuto e mal morirá; e il padron non è meglio di lui, servo degno di tal padrone.

Dottore. Mi vo’ partire; il presto ti raccommando.

Mangone. Ed io vo’ al molo a trovare il raguseo.

SCENA IV.

Pirino, Forca.

Pirino. Comporterai, o Forca, che tu e io siamo scherniti e vilipesi da un furfante ruffianello? Diménati, risvégliati, dimostra che sei vivo e non dormi: ove è l’ingegno, ove sono le tue grandezze, ove i tuoi gran fatti che fur tutti prigionieri delle tue astuzie?

Forca. Molte girandole mi vanno per la testa: mi stillo il cervello e ordisco gran matasse, ma non mi sono ancor rissoluto ad alcun partito.

Pirino. Aiutami.

Forca. Mi uccidete.

Pirino. Il breve termine che Mangone ha dato a Melitea di gir al dottore, è il termine della mia vita: intanto io sto nel mezzo delle fiamme ardenti. Rispondemi.

Forca. Io sono cosí internato ne’ pensieri, che sono fuora di me: il desidero piú di voi per vendicarmi di quel manigoldo. Penso e ripenso, e tuttavia non mi riesce nel cervello. Ma quel non aver danari mi fa venir il sudor della morte.

Pirino. Se avessimo danari, non sarebbono necessari gli inganni.

Forca. Io non dico cinquecento scudi, ma alcuni dinari maneschi per spendere e intricare. Ditemi, sète voi deliberato di averla?

Pirino. Sí.