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atto quinto 91


Attilio. La fortuna traditora pur mi lusinga con nuove speranze, e pur le credo. Costui mi dice che mi renderá contento, e son certo che è impossibile, e pur mi piace d’intenderlo.

Trinca. Stammi allegro, padrone, ché è trovata la tua vera sorella.

Attilio. E questo è il mio dolore. Ma sempre che sento nominar sorella, sento un orror scuotersi per tutta la persona.

Trinca. E cosí arai la tua moglie desiderata.

Attilio. Cose contrarie: è trovata la sorella e arai la moglie desiata. Cosí, Trinca, ti beffi del tuo padrone?

Trinca. Avete il torto a dirlo. Voi arete la vostra Sulpizia ed Erotico la sua Cleria.

Attilio. Or ti beffi di l’uno e di l’altro.

Trinca. Io dico il vero all’uno e all’altro. Sappiate che per un mirabile accidente, per un benevolo incontro di fortuna, è successa cosa tutta contraria a quella che minacciava la presente confusione.

Attilio. Dammi un succinto raguaglio del fatto.

Trinca. Orgio, avendo visto la balia ragionar con Erotico, la batté sconciamente.

Erotico. Oimè, che dici? questa è una mala nuova per me.

Trinca. Da questo disordine è nata la vostra allegrezza: ché la balia se ne venne a Pardo, e l’ha manifestato che, quando partorí Costanza e diede a lattar Cleria alla moglie di Filogono, scambiò le bambine, e ritornò la sua Sulpizia a Costanza e si tenne la vera Cleria. A signali Costanza ha trovato vero quanto ha detto. Pardo andò ad Orgio, e minacciandolo l’ha scoverto il tutto. In questo Costanza con tanti bei modi s’è oprata con Pardo suo marito, che ottenne Sulpizia, figlia di Filogono, cioè la vostra Cleria, per vostra moglie con diecimila ducati di dote, che li lasciò il padre, ritrovandosi: dicendogli non deversi far resistenza a quello, che con tanti meravigliosi avvenimenti avea disposto l’alta bontá di Dio, ma lasciarsi guidar da lei.

Attilio. Oimè, che io mi sento incapace di tanta allegrezza, dubito che non mi suffochi l’animo. Ahi, che non potendola caper il mio petto, se ne versa fuori la miglior parte.