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LIBRO PRIMO. 39

farsi nelle attuali faccende. Tutti da ultima convennero di abbandonare ogni speranza rapporto alle bisogne Emisene, i cittadini stessi, ora avversi a lei, seguendo le parti Romane. Volersi dunque occupare Palmira, e riposta la propria salvezza in quella munita città, volgere con maggior quiete il pensiero alle presenti urgenze. Detto fatto, non avendovi chi si opponesse a tale deliberazione.

Aureliano, udita la fuga di Zenobia, entrò in Emisa lietamente accoltovi dalla cittadinanza, ed impadronitosi delle ricchezze che la fuggitiva potuto non avea trasportar seco, di subito avviossi coll’esercito a Palmira. Giuntovi e circondatala di trincee persisteva nell’assedio postovi, fornite essendo le truppe di vittuaglia dalle vicine genti. I Palmireni fra questo mezzo beffavano il nemico, inespugnabili estimando le difese mura; se non che mentre da taluno era svillaneggiato con oltraggiose dicerie l’imperatore stesso, un Persiano lo avvicina dicendogli: Comandami, o Sire, e tosto mirerai privo di vita il maldicente. Riportatone l’imperiale consentimento, egli, fattosi riparare da alcuni militi onde non dar nell’occhio, tende l’arco ed assettatovi un dardo lo scocca; questo di subito andato a conficcarsi in chi girando tuttavia gli occhi fuori de’ merli prose dal muro, spettatori essendone il principe e le truppe.

Gli assediati perseveranti nella difesa, pieni di speranza che il nemico per diffalta d’annona scioglierebbe l’assedio, nel durar saldi in essa vidersi pur eglino in difetto di alimenti. Ragunalisi dunque a consiglio