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Sia la vittoria, sembra egli dire, l’unico scopo di un comune soldato. Seginste le armi non sono, se il trono non è la spontanea offerta del popolo, ma il frutto di colpevoli pratiche, una maligna luce riflettesi da quelle e da questo agli occhi di un soldato filosofo. Quale, dunque essere poteva la morale bellezza, a cosi dire, di un componimento a tal fine rivolto? persuaderci, durante almeno la sua lettura, che santa è quella guerra, e che giuste sono quell’armi. Nè mai scrittura attinse sì compiutamente il suo fine. Un retore fatto avrebbe obbliare il soggetto per non occupare il lettore che dei luoghi comuni dell’arte sua, e di una sterile pompa di parole^ ma un modesto uomo e prudente, un grato discepolo (e questo si è il carattere ivi assunto da Giuliano) che si rivolge a coloro ch’egli amò sempre e riverì quai maestri, onde invitarli a riposatamente seco lui deliberare intorno alla giustizia di un comune proposito, adorna della sola materia il discorso, lo scalda di puro e semplice affetto, e con uno stile nè ambizioso troppo, nè troppo dimesso, rammenta sì di essere udito da una numerosa adunanza, ma nè tampoco dimentica ch’ci non favella nè dai rostri di Roma, nè dalla bigoncia d’Atene.

Tutta ornata di una originai bizzaria offresi l’altra operetta, il Misopogono. Giuliano movendo per la persiana spedizione, fermatosi in Antiochia a riordinare le cose d’oriente, e dare tempo ai guerreschi apparecchiamenti, ben presto ebbe a conoscere che il soggiorno della pia e cristiana capitale della Siria, mal convenuto avrebbe al cliente delle divinità gentilesche. Indarno Prefazione di S. P. alte Op. tc. di Giuliano. t»