’con pari felicità una grande ed una picciola tela-, un animo sollevato, virtuoso; nodrito di magnanimi sentimenti, che nobilita il discorso, e lo sparge di quel nativo decoro che mal procaccia d’assumere la virtù simulata, una scelta erudizione, un’eloquenza universale
condita di certa sua particolar venustà; piena di veneri
nell’epistole, di luciauesco garbo e più di aristofanico
sale nelle satire, di dignità isocratica nelle orazioni. Non
per tanto, ed a malgrado di cotali doti, noi consentiamo
all’altrui avviso, e siamo ben lontani dall’immaginare
che tutte le opere di Giuliano potessero trovare egual
favore in una lingua moderna trasportate. S’aggirano
alcune, tali sono le teologico-pagane, intorno a dottrine affatto straniere alle nostre opinioni, e così offronsi ordite della filosofia platonica di que’ tempi, da
riuscir oscure anche a chi con attento studio immergere «si volesse in quelle solìstiche investigazioni; altre circa
soggetti che l’autore fu costretto dalle circostanze a
trattare, come le orazioni in lode di Eusebia e di Costanzo, o sterili per sè stessi, o capaci più presto di
filippica che di elogio, ed è forza confessare che dove
la materia non orna anch’essa il discorso, stanca pure
un grande ingegno che mostrasi costretto a rimanere
sempre sull’ali; onde trarre profitto da baje e da frasche. L’epistole però tutte, le due satire, l’orazione
agli Ateniesi, quella per la partenza di Sallustio, l’altra
diretta ad Eraclio, e diremo ancora il primo dei due
panegirici di Costanzo per le bellezze dello stile e le
pellegrine notizie che racchiude, queste opere comechè