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LIBRO PRIMO. 27

Così andando le orientali faccende, aveavi generale bisogno d’ordine e difesa. Tutti gli Sciti, gente e nazione, formato di comun accordo un sol corpo, ivan con parte de’ loro mìliti predando l’Illirico e guastandone le città; entrati col resto nell’Italia procedevan oltre dirigendosi alla stessa capitale.

Il senato, in assenza di Gallieno tutto intento alle Germaniche guerre di là dalle Alpi, vedendo la città esposta a gravissimi disastri, fatte impugnare le armi alle truppe ivi di stanza, ed ai più valorosi della plebe, mise in assetto un esercito maggiore dello Scitico, ed il nemico intimoritosi abbandonò Roma, non cessando impertanto di maltrattare da ogni banda, quasi dissi, l’Italia. Ridotto agli estremi l’Illirico dalle costoro vessazioni, ed il Romano impero sconvolto in modo che più non sapea se fosse tuttavia per sussistere, fecevi comparsa tanto grave pestilenzioso morbo quanto giammai per lo addietro, a memoria d’uomini, stato era, il quale rendea meno penose le barbariche scelleraggini, reputandosi gli incolti da esso beati, e pur beate le cittadi infette e addivenute per la grande mancanza di abitatori deserte.

Gallieno, turbatosi all’annunzio di tante miserie, tornava a Roma onde respignere le Scitiche armi portate contro all’Italia; quivi macchinavangli insidie Cecrope Mauritano, Auriolo, Antonino e molti altri, pagandone quasi tutti il fio; Auriolo solo proseguiva a contradiare l’imperatore.

Postumo, comandante della milizia presso ai Celti, rivolse anch’egli in appresso l’animo a ribellione, e