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minose virtù di Giuliano con la colpa d’usurpatore. Tuttavia a chi essere non voglia persuaso che (’ambizione, quel comune e fatai morbo del cuore umano, spesso rompa i ritegni d’ogni virtuosa abitudine, non mancheranno buone ragioni se non a toglierne, a scemarne almeno la contraddizione. Si potrà affermare che morta già Eusebia (56), il vincolo della promiscua concordia fra i due principi, e l’animo di Costanzo fatto ornai non contesa preda de’ favoriti e degli eunuchi, ommesso non avrebbe di porre a colpa di suo cugino la sedizione dell’esercito, e pronto a dissipare i timori colle uccisioni, rinnovato avria l’esempio di Gallo in Giuliano, senza che questi più confidar potesse nè sull’ausilio della sua reai Protettrice, nè su quello de’ suoi soldati di Gallia, a cui con ingratitudine corrispondeva, allo sdegno abbandonandoli dell’imperatore; che così essendo, proprio doversi dire dell’umana debolezza il rompere in quell’arduo scoglio che formasi dall’ultimo termine dei doveri che agli altri ci legano c dal primo che la natura impone a noi stessi; che la modesta pretensione del principato oltre l’Alpi, ad altro poi non estendevasi che a rinnovare un’antica consuetudine; che s’egli potè credere veramente che i suoi Iddìi l’appellassero a ristorare il lor culto, gl’artifizj onde pervenire all’impero confondonsi negli errori d’ima lagrimevole superstizione, e finalmente che se in un tal fatto così vanno indistinte le sembianze della colpa da quelle dell’innocenza che l’occhio della critica a gran fatica le scerne, possono anche le massime della più servile obbedienza concedere èlla indignala virtù d’un grand’uomo, d’aver