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LIBRO QUINTO 295

missione, conferì la urbana prefettura, cacciatone Teodoro, a Ceciliano, ed inalzò Attalo a quella del fisco. Olimpio sittosi in capo di attendere unicamente alla ricerca dei riputati consapevoli di notizie intorno a Stilicone, chiamati furono per cosiffatta calunnia in giudizio Marcelliano e Salonio fratelli, militanti infra’ notai del principe, e rinchiusi nelle carceri del pretorio, ove, sebbene con ogni maniera di battiture tormentatine i corpi, e’ nulla proferirono di quanto il perfido bramava grandemente sapere.

In Roma gli affari non procedendo meglio di prima, Onorio levate dalle stanze loro nella Dalmazia cinque militari coorti le diresse colà di presidio. Tra queste, seicento guerrieri così per coraggio come per vigoria di membra, dir si poteano quasi il nerbo delle Romane truppe. Valente, lor duce, prontissimo ad ogni cimento estimò viltà il marciare per istrade non occupate dal nemico, ed Alarico, attesone il passaggio, strettosi loro addosso con tutte le sue genti feceli per intiero cadere nelle proprie mani. Soli cento riuscirono a sottrarsi colla fuga, avendovi nel numero lo stesso duce, il quale insiem con Attalo, mandato in addietro dal senato al principe, incamminatosi alla volta di Roma pervenne a salvamento. Ognor più crescendo i mali presenti colla unione di altri maggiori, Attalo, entrato in Roma, libera Eliocrate dall’officio ricevuto, a persuasione di Olimpio, dal principe, ed era di rintracciare le facoltadi spettanti ai proscritti in forza della famigliarità avuta con Stelicone e metterle nel fisco. Ma poichè, fornito d’un animo secondo giustizia, ritenea