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292 ZOSIMO, DELLA NUOVA ISTORIA

lora con Dio que’ Toscani, gli assediati cercan mezzo di raddolcire del meglio loro il barbaro. Tornano pertanto ad inviargli ambasciadori, e da ambe le parti molto questionatosi, elle da ultimo convennero che la città somministrasse cinquemila libbre d’oro, trentamila d’argento, quattromila tuniche di seta, tremila di lana chermisina e tremila libbre di pepe. Se non che, l’erario trovandosi affatto vuoto di pecunia, la necessità volea che i senatori possidenti supplissero del proprio con giusta proporzione tale mancanza. Datosi a Palladio il carico di stabilire la quota parte sopra i patrimonj de’ singuli, nè potendo egli compiutamente rinvenire detta somma vuoi per la mala fede usata da alcuni nel dichiarare i loro beni, vuoi per essere la città, in forza delle continue ed avide imperiali riscossioni, ridotta alla miseria, lo scellerato genio, disgraziatamente in allora al maneggio delle umane faccende, spinse gli incaricati di questo affare al colmo de’ guai. Poichè risolvono di procurare il resto co’ preziosi ornamenti dei simulacri divini, riducendo in cotal modo quelle imagini, sebbene dedicate coi sacri riti e colle debite cerimonie onde conservassero in perpetuo felice la città, del tutto inanimate e di nessun profitto. Acciocchè poi ogni mezzo concorresse alla rovina delle assediate mura, non solo privaronle de’ guernimenti, ma ne fusero eziandio parecchie composte d’oro e di argento, ed infra le altre quella della Fortezza, dai Romani appellata Virtù, distrutta la quale scomparve dal popolo traccia comunque di virtù e fortezza. Quanto inoltre fosse per avvenire da