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LIBRO QUINTO 289

Alarico impertanto, morta Serena, proseguiva, circondando tutte le porte, l’assedio, ed occupato il fiume Tevere impediva l’entrata della vittuaglia dal porto. I Romani a tal vista risolverono di non perdersi d’animo, aspettando quasi di giorno in giorno aiuti da Ravenna. Miratisi quindi privi d’ogni soccorso e caduti dalle concepite speranze opinarono diminuire la misura dell’annona facendone cuocere la metà di quella solita distribuirsi cotidianamente; aumentatone poscia il caro, venne ad un terzo ridotta. £ poichè vano era il cercare al male rimedio, presto mancarono tutti li conforti ai bisogni del ventre. Alla fame in seguito sopraggiunta la moria l’intera città ridondava di cadaveri, nè potendosi fuor delle mura seppellire, avendovi nemici ovunque, Roma stessa, ridotta quasi deserta, addivenuta era il sepolcro dei morti; cosicchè suppostavi eziandio quanta si vuole abbondanza di fodero il solo fetore esalato dai cadaveri stato sarebbe sufsiciente a contaminare e corrompere i corpi. Leta, un dì consorte del principe Graziano, e sua madre Pissamena somministrarono lunga pezza a molti il cibo. Imperciocchè il pubblico erario, per liberalità di Teodosio, fornendole di regal mensa, non pochi valendosi della benevolenza loro avean mezzo di acquetare gli stimoli della fame. Giunto in fine il male agli estremi, fatta pruova de’ più abbominevoli cibi, e temendo non gli uni divorassero gli altri, statuiscono mandare ambasceria al nemico annunziandogli disposti gli assediati alla pace, quando i patti non oltrepassino i limiti della mediocrità; ed anche, in caso contrario, alla guerra,