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LIBRO QUINTO 259

l’Asia a respirare, mirandosi in qualche modo libera da così gravi pericoli. Nella sua dimora poi in Costantinopoli sparge qua e là i militi destinati a difenderla, spogliando la città delle stesse guardie pretoriane, ed esorta di ascoso i barbari ad impadronirsene, ricevuto all’uopo il segnale partite le truppe; rimasa non altramente priva di soccorso gliene conferirebbono l’assoluto potere.

Fatti questi comandamenti alle coorti seco, esce di quelle mura, pretestando il suo corpo infermò per le sostenute belliche fatiche e bisognevole di riposo, del quale spererebbe indarno godere se non quando abbandonato si fosse ad una vita scevra da cure. Laonde lasciate nella città barbariche schiere, molto superiori di numero ai discacciati pretoriani, ritirossi in un borgo lontano di là quaranta stadj per attendere il momento di rivenirvi non a pena i barbari entrovi, giusta il convenuto, accinti fossersi all’opera. Egli si vivea con tale fiducia, e se prevenuto non avesse, stimolato dal barbarico furore, il tempo idoneo all’impresa, nulla potea contradiargli il possesso di quelle mura. Md condottivi i suoi militi senz’attendere lo stabilito segnale, que’ del presidio, spaventati, mandano forti grida. Suscitatosi allora grave ed universale tumulto, e postesi le donne a piangere ed urlare come se già fossevi penetrato il nemico, tutti g|i abitatori pigliano a combattere le truppe del ribello esistenti nella città, e dopo averne con spade, pietre ed altre armi presentatesi loro fatto eccidio, montano di corsa in su delle mura, ed insiem colla guernigione avventan dardi e proiettili