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LIBRO QUARTO | 213 |
zia di Geronzio, ed estimandolo bramoso di morte, inviano a combatterlo una mano d’uomini baliosissimi. Il duce venuto alle prese col primo inoltratosi a cominciar la mischia, destramente maneggiando lo scudo, regge con valor sommo all’aringo infinattantochè tale de’ suoi compagni, vedendo la terribile affrontata, percuote dì spada l’omero dello Scita, precipitandolo giù di sella. Sorpreso il nemico della fortezza e valentia del suo rivale, questi va ad incontrare nuovi cimenti. I militi allora spettatori di su le mura delle gloriose geste del proprio comandante, e rammentando il nome Romano corrono ad investire i barbari, che atterriti dai comparsi a guerreggiarli di leggieri vengono uccisi; i fuggitivi riparano entro un edificio in venerazione presso de’ cristiani e ritenuto asilo.
Geronzio liberata la Scizia dagli imminenti pericoli, vincendo con bravura somma e grandezza d’animo i barbari assalitori, attendea qualche premio dal monarca. Teodosio in cambio, forte sdegnatosi per la strage di que’ suoi prediletti da lui sì tanto onorati avvegnachè dannosi alla repubblica, di colpo ne lo riprende e chiedegli ragione dell’operato valorosamente a pro de’ Romani. Il duce accusali di ribellione contro all’impero, ed insieme rammentane i ladronecci e le molestie recate a quelli abitatori. Teodosio non consentendogli punto, ostinasi nel dire ch’e’ non mirando al pubblico vantaggio, ma preso dalla cupidigia di usurpare gli imperiali doni mandati loro, determinato erasi a privarli della vita onde più non avessevi mezzo di convincerlo del commesso delitto. Geronzio rispondagli di aver