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LIBRO TERZO 151

nomate Nisbara e Niscanabe, alle quali divise dal Tigri un ponte forniva mezzo di esercitare insieme pronto e molto traffico. I Persiani lo incendiarono per togliere al nemico, venendogli in fantasia, ogni opportunità di molestarle. Quivi gli esploratori usciti a foraggiare ed avvenutisi ad alcune Persiane coorti fugaronle, e l’esercito fatto bottino d’annona bastevole a’ suoi bisogni, avendovene gran copia, ne sconciò tutto il resto1.

In seguito recatisi infra le città Danabe e Sinca ebbero a sostenere una zuffa coi presidiari del retroguardo Persiano, giuntandovi molti combattenti, ma pur egli il nemico sofferta grave perdita, nè cantando al certo vittoria, diede le spalle. Imperciocchè nella mischia cadde spento un illustre satrapo di nome Dace2, e mandato altre volte in ambasceria all’imperatore Costanzo per trattare seco lui di pace e metter fine alla guerra. Avvicinatisi in appresso i Romani ad Acceta, città, il nemico incendiava quanto era nelle campagne, ma i Romani scorrazzatovi ed estinto il fuoco guardarono ad uso proprio i salvati prodotti.


  1. Intorno all’esposto Zosimo segue Marcellino, avvegnachè riscontriamo infra loro disparità nell’indicare i luoghi, cagione forse la simiglianza de’ nomi – Arrivati ad Ecumbra, villa così appellata, dice Marcellino, e raccoltovi in due giorni tutto il bisognevole, rinvenutavi di più quantità di frumento superiore ad ogni nostra speranza, racconsolati ne partimmo, avendone in prima trasportato quel tanto permessoci dai tempo, e dato alle fiamme il resto. – (Lib. a5 princ). T. S.
  2. Adace, Marc. T. S.