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LIBRO TERZO 145

ranzio, milite non volgare della coorte de’ Vittoriani; seguito fu da Magno e questi da Gioviano1 tribuno dell’ordine de’ notai, cui altri in copia tennero dietro. Allargatasi a poco a poco l’uscita pervennero tutti nel mezzo della città, donde camminati al muro ivan addosso ai Persiani che fuor d’ogni aspettazione profferivano cantilene, giusta la consuetudine del natio paese, celebrando il valore del proprio re, e schernendo i vani conati del monarca Romano, col dire sarebbegli di minor pena lo impadronirsi della reggia di Giove che della città assediata. Coloro frattanto in quanti abbattevansi davan morte o di ferro o pittandoli abbasso dal muro, non perdonando tampoco nè a fanciulli, nè a donne, salvo un basso numero destinato alla prigionia. Ebbevi tra questi Anabdate2 comandante del presidio, il quale sorpreso mentre correa qua e là pel castello, e legategli le mani fu presentato ad uno con ottanta satelliti all’imperatore. Conquistata non altramente di forza la città, spentine tutti gli abitatori, non età, non sesso ottenendo mercede, e sol piccolo numero prodigiosamente sottrattosi dalla strage colla fuga, la truppa corse a far preda. Abbottinatosi ovunque si atterrò da sommo a imo colle macchine il muro, e distrutti gli edifizj così dai militi come dal fuoco, più non parea che quivi unque mai una città fossevi esistita.

Proceduti oltre giugneano, passando per alcune città di poca rinomanza, ad una chiusura detta Il Parco

  1. Forse Giustiniano. V. nota precedente.
  2. Nabdate, maestro de’ presidii (Marcellino). T. S.