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LIBRO PRIMO. 7

e posto fine turpemente alla vita, Nerone ed altri, seguendosi, ascesero il trono. Di questi per verità ho divisato non dir verbo, disdegnando che rimanga memoria delle inique e mostruose loro azioni. Vespasiano e Tito, sua prole, inalzati all’impero con assai più moderazione ressero i popoli. Domiziano, specchio senza pari di lussuria, di crudeltà e di avarizia, manomessa la repubblica per la durata di quindici anni intieri, ed alla fine ucciso da Stefano liberto, ebbesi con tal morte il gastigo de’ suoi misfatti.

Uomini probi di poi, vo’ dire Nerva, Traiano, il pio Antonino ed i due germani, Vero e Lucio, ottenuto il supremo comando, ripararono a molte calamitadi, tornando al possesso non solo del perduto dai loro antecessori, ma eziandio aggiungendovi qualche nuovo acquisto. A Comodo, figlio di Marco, inclinato così alla tirannide come alle più orribili scelleraggini, e spento dalla concubina Marcia, armatasi d’animo virile, tenne dietro Pertinace; se non che i pretoriani soldati, mal comportandone il rigore nell’esercizio e nella disciplina militare, lo trucidarono. Poco mancò allora non andasse Roma in isconvolgimento, poiché le truppe destinate alla custodia del pretorio usurpandosi il diritto di nominare il monarca, ne toglievan forzevolmente la scelta al senato. Messo pertanto l’impero in vendita, Didio Giuliano, istigato dalla consorte, anzi per balordaggine che per saggio consiglio a contanti ne fa mercato, dando uno spettacolo mai più veduto per lo innanzi, condotto essendo al pretorio non preceduto dai senatori nè da qualunque legittimo corteo: accompagnato bensì da quei