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letto presente, quale egli si sia e la noia hanno in odio e indugianla; e perciò schifano anco la ragione, e par loro amara; conciossiachè ella apparecchi loro innanzi non il piacere, molte volte nocivo, ma il bene sempre faticoso, e di amaro sapore al gusto ancora corrotto; perciocchè mentre noi viviamo secondo il senso, sì siamo noi simili al poverello infermo, cui ogni cibo, quantunque dilicato e soave, pare agro o salso, e duolsi della servente, o del cuoco, che niuna colpa hanno di ciò, imperocchè egli sente pure la sua propria amaritudine, in che egli ha la lingua rinvolta, con la quale si gusta, e non quella del cibo: così la ragione, che per sè è dolce, pare amara a noi per lo nostro sapore, e non per quello di lei; e perciò, siccome teneri e vezzosi, rifiutiamo di assaggiarla, e ricopriamo la nostra viltà col dire, che la natura non ha sprone o freno che la possa nè spignere, nè ritenere: e certo se i buoi, o gli asini, o forse i porci favellassero, io credo che non potrebbon profferire gran fatto più sconcia nè più sconvenevole sentenza di questa.
135. Noi ci saremmo pur fanciulli, e negli anni maturi e nella ultima vecchiezza; e così vaneggeremmo canuti, come noi facciamo bambini, se non fosse la ragione, che insieme con l’età cresce in noi, e cresciuta, ne rende quasi di bestie uomini; sicchè ella ha