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tre cose, perciocchè così pare, che le cose istesse si rechino in mezzo, e che elle si mostrino non con le parole, ma con esso il dito: e perciò più acconciamente diremo: — Riconosciuto alle fattezze, che alla figura o alla immagine: — e meglio rappresentò Dante la cosa detta, quando e’ disse:

Che li pesi
Fan così cigolar le lor bilance

che se egli avesse detto o gridare, o stridere, o far romore. E più singolare è il dire, il ribrezzo della quartana, che se noi dicessimo il freddo: e la carne soverchio grassa stucca, che se noi dicessimo sazia: e sciorinare i panni, e non ispandere: e i moncherini, e non le braccia mozze: e all’orlo dell’acqua d’un fosso

Stan li ranocchi pur col muso fuori (Dante)

e non con la bocca: i quali tutti sono vocaboli di singolare significazione: e similmente il vivagno della tela piuttosto, che l’estremità.

110. E so io bene, che se alcun forestiero per mia sciagura s’abbattesse a questo trattato, egli si farebbe beffe di me, e direbbe, che io t’insegnassi di favellare in gergo, ovvero in cifera; conciossiachè questi vocaboli siano per lo più così nostrani, che alcuna altra nazione non gli usa; e usati da altri, non