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108. E comechè Dante, sommo poeta altresì, poco a così fatti ammaestramenti ponesse mente; io non sento perciò che di lui si dica per questa cagione bene alcuno; e certo io non ti consiglierei, che tu lo volessi fare tuo maestro in quest’arte dello esser grazioso, conciossiacosachè egli stesso non fu; anzi in alcuna cronica trovo così scritto di lui: Questo Dante per suo saper fu alquanto presuntuoso, e schifo, e sdegnoso; e quasi a guisa di filosofo mal grazioso, non ben sapeva conversar co’ laici. Ma tornando alla nostra materia, dico, che le parole vogliono essere chiare, il che avverrà se tu saprai scegliere quelle che sono originali di tua terra, che non siano perciò antiche tanto, che elle siano divenute rance e viete, e come logori vestimenti, disposte o tralasciate; siccome spaldo e epa e uopo e sezzaio e primaio. E oltre a ciò se le parole, che tu arai per le mani, saranno non di doppio intendimento, ma semplici; perciocchè di quelle accozzate insieme si compone quel favellare che ha nome enigma: e in più chiaro volgare si chiama gergo:

Io vidi un che da sette passatoi
Fu da un canto all’altro trapassato (Alam.).

109. Ancora vogliono esser le parole, il più che si può, appropriate a quello che altri vuol dimostrare; e meno che si può comuni ad al-