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nisce, sente contento della vergogna altrui; e chi beffa, prende dello altrui errore non contento ma sollazzo; laddove della vergogna di colui medesimo per avventura prenderebbe cruccio e dolore. E comechè io nella mia fanciullezza poco innanzi (procedessi nella gramatica, pur mi voglio ricordare, che Mizione, il quale amava cotanto Eschine, che egli istesso avea di ciò maraviglia, nondimeno prendea talora sollazzo di beffarlo, come quando e’ disse seco stesso: — Io vo’ fare una beffa a costui. — Sicchè quella medesima cosa a quella medesima persona fatta secondo la intenzione di colui che la fa, potra essere beffa e scherno.

92. E perciocchè il nostro proponimento male può esser palese altrui, non è util cosa nella usanza il fare arte così dubbiosa e sospettosa; e piuttosto si vuol fuggire, che cercare di essere tenuto beffardo; perchè molte volte interviene in questo, come nel ruzzare o scherzare, che l’uno batte per ciancia, e l’altro riceve la battitura per villania; e di scherzo fanno zuffa; così quegli che è beffato per sollazzo e per dimestichezza, si reca tal volta ciò ad onta e disonore, e prendene sdegno: senza che la beffa è inganno; e a ciascuno naturalmente duole di errare, e di essere ingannato. Sicchè per più cagioni pare che chi procaccia di esser ben voluto e avuto