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al bene ed all’onore l’un dell’altro; ma poi alla fine ognuno fugge il bue che cozza, e le persone schifano l’amicizia de’ maldicenti, facendo ragione, che quello che essi dicono d’altri a noi, quello dicano di noi ad altri.
86. E alcuni che si oppongono ad ogni parola, e quistionano e contrastano, mostrano che male conoscano la natura degli uomini; chè ciascuno ama la vittoria, e lo esser vinto odia non meno nel favellare che nello adoperare: senzachè il porsi volentieri al contrario ad altri è opera di nimistà, e non d’amicizia. Per la qual cosa colui che ama d’essere amichevole e dolce nel conversare, non dee aver così presto, il — non fu così; e lo, anzi sta come vi dico io; — nè il metter su de’ pegni; anzi si dee sforzare di essere arrendevole alle opinioni degli altri d’intorno a quelle cose che poco rilevano; perciocchè la vittoria in sì fatti casi torna in danno; conciossiachè vincendo la frivola questione, si perde assai spesso il caro amico, e diviensi tedioso alle persone sì, che non osano di usare con esso noi, per non esser ognora con esso noi alla schermaglia; e chiamanci per soprannome messer Vinciguerra o ser Contrapponi o ser Tullesalle, e talora il dottor Sottile,
87. E se pure alcuna volta avviene, che altri disputi invitato dalla compagnia, si vuol fare per dolce modo, e non si vuol essere sì